Giuseppe Pagano: Giacometti.

Questo libro ci parla di una “ricognizione fotografica“, ci aspettiamo il racconto di un percorso articolato secondo i canoni del reportage. Già l’immagine di copertina ci richiama in modo forte alla poetica visuale di Giuseppe Pagano: vediamo infatti le diverse tonalità monocromatiche di un vecchio muro scrostato e segnato. Forse, in quest’opera su Alberto Giacometti di “canonico” c’è molto meno di quanto possiamo pensare .

Prima di ogni altra fotografia incontriamo un delicato e armonioso segno grafico continuo, che, inerpicandosi, allinea i luoghi chiave dell’esplorazione dei luoghi della Val Bregaglia a cui Alberto Giacometti è appartenuto. Un segno grafico che personalmente trovo estremamente attraente, che mi “punge” secondo Roland Barthes.

La mente va avanti e continua ad attendersi l’esplorazione dei luoghi fisici e la rappresentazione del reale, ma poi scopre altro.

© Giuseppe Pagano

Questo lavoro di Giuseppe Pagano sorprende chi osserva attentamente e soprattutto “va oltre”, e ci presenta segni di una realtà intuibile ma non esplicita, i tratti del suo stile e della sua ricerca intrecciati con l’espressività di Alberto Giacometti, che a questo punto appare come un punto di partenza, ma non il fine ultimo, per declinare quelle suggestioni visuali ed evocazioni, che il fotografo ha già sviluppato in “Identità“, “Anni luce“, “Notte di genesi“, “Inverni“, “Presenze” ed in altri lavori.

Nelle immagini che Giuseppe Pagano ha incontrato si susseguono segni umani, manufatti, edifici, tracce antropomorfi evanescenti nella neve, maschere “umane” stilizzate e poi rappresentazioni più reali, edifici, curve, crepe, graffiti, distacchi di intonaco.

© Giuseppe Pagano

Oggetti abbandonati, materia. E l’autore poi gioca con lo spettatore proiettando verticalmente oggetti in realtà orizzontali, obbligando lo spettatore ad una percezione al di là dell’immediato.

© Giuseppe Pagano

Il fotografo, proseguendo nella sua “esplorazione”, riesce a mettere davanti a noi la sua rappresentazione simbolica delle sculture di Alberto Giacometti, manufatti stilizzati, oggetti come figure umane. E poi ancora segni che in realtà sono stratificazioni di rocce innevate.

© Giuseppe Pagano
© Giuseppe Pagano

Tra gli alberi si intuiscono finestre e su un tavolato di legno segni simili a graffiti preistorici, rappresentazioni di figure umane, ricordano quelli delle rocce di Twyfelfontein in Namibia.

Per un attimo, forse, mi sarebbe piaciuto vedere le “piccole pietre deposte sulla tomba dello scultore, a Stampa, nel cimitero del paese circondato dalle alte pareti di roccia della Val Bregaglia“. O più probabilmente no, sappiamo che le piccole pietre ci sono, ma ognuno di noi può affidare al proprio immaginario questa inquadratura.

Osservata complessivamente quest’opera rappresenta la summa della poetica di Giuseppe Pagano, in un alternarsi di realtà e di visioni evanescenti ed evocative, simboli, richiami ad esplorazioni passate, costruzioni e le onnipresenti nevi. Lo scultore svizzero potrebbe essere stato solo un pretesto.

Mi sono poi chiesto, infine, in una comunicazione moderna che “svanisce” in un attimo, con lo “swipe” sullo schermo di uno smartphone, quale senso abbiano queste riflessioni. Ma è esattamente questo il pregio della dimensione fisica della fotografia, della stampa e della pubblicazione: un riferimento visivo e tattile che possiamo prendere e riprendere, vedere e rivedere.

Mi aspetto che tra qualche tempo, mesi o anni, riprendendo “Giacometti” altre sensazioni verranno suscitate.

2 pensieri su “Giuseppe Pagano: Giacometti.

  1. Grazie infinite, Luca.
    Sono contento che il libro ti sia piaciuto.
    E’ proprio come dici tu: certe storie non hanno mai fine.

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