A che serve la fotografia?

Veleggiando sulla rete sono incappato in una segnalazione di Marco Benna, riflessivo fondatore di PHOM, ed eccomi a leggere “ A che serve la fotografia” di Jerry L. Thompson.

Piccolo formato, 96 pagine,  linguaggio più che accessibile.  Se non ci si ferma ad elucubrare si legge d’un soffio.

Stile perentorio quest’autore,  quasi fin troppo,  ma dopo schiere di laureati ad honorem in relativismo è veramente un piacere incappare in chi affronta con piglio deciso  alcuni noccioli della fotografia,  senza paura di scrivere controcorrente,  e di additare quale superficiale – su questioni specifiche – persino la Sontag.

Non sono molti in effetti ad avere il fegato di approfondire il tema del rapporto fra arte e fotografia  dandone una personale  visione.  A sostegno delle sue tesi  Thompson chiama a testimoniare alcuni autori, Evans in particolare,  attraverso l’analisi delle immagini e degli approcci  (arditamente ipotizzati fino al possibile):  il lettore viene  condotto per mano in queste dimostrazioni,  partendo dall’idea che ha animato il fotografo,  per comprendere  –  dopo aver evitato trabocchetti estetizzanti e  lusinghe varie  –  come sia giunto al risultato di spessore.  A cui talvolta  più difficilmente può tendere chi possiede l’”occhio” fotografico:  un talento che paradossalmente si trasforma in un limite se non affiancato da una profonda riflessione.
Non  vengono risparmiate bordate contro un mercato dell’arte a volte superficiale e ruotante attorno alle “personalità”,   e contro chi  rinuncia a cogliere le invisibilità offerte dalle fotografie del passato per assecondare più agevoli concettualità  à la page.

Il libro è costruito su alcuni temi chiave  ma non indugia in ripetizioni,  e  se si è soliti evidenziare a lato i tratti interessanti la matita non conosce sosta.

Buona lettura.

Giuseppe Pagano

2 pensieri su “A che serve la fotografia?

  1. Il libretto è breve ma molto denso. Perché i riferimenti sono moltissimi e indispensabili a capire cosa Thompson vuole dire. È bene ricordare che un autore noto, in fotografia come in filosofia, auspicabilmente lo è perché propone punti di vista degni di nota. Di rado basta la notorietà effimera. E allora non c’è nulla di male ad usare un nome per lo stile che lo ha reso noto. Fondamentale l’idea di Thompson di una interazione dialettica tra il fotografo e la realtà che vive e del dialogo tra forma e contenuto.

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