Bella foto, sembra un quadro.

Quando definiamo una fotografia “pittorica” in genere vogliamo sottolinearne:

la costruzione e la fruizione secondo gli schemi percettivi della pittura, a spregio dello “specifico fotografico”, che prevede un linguaggio diverso;

e forse, più in particolare:

l’aderenza ad uno stile riconoscibile e già consolidato nella storia della pittura. “Sembra un quadro astratto! – sembra un quadro espressionista!”;

o addirittura:

la leziosità. “Che bel quadretto!” Una composizione molto formale,  nella quale gli elementi sono distribuiti con enfasi e secondo canoni tradizionali,  tesi ad una estetica prevedibile e popolare.

Nella espressione “sembra un quadro”,  in origine pronunciata quale complimento all’autore,  si nasconde quindi – consapevolmente o inconsapevolmente – un potenziale e implicito giudizio negativo.

Esistono comunque fotografie che – più o meno – rientrano in questa casistica,  e che non esitiamo unanimemente a riconoscere come “arte”,  e fotografie che dribblano i (presunti) difetti di cui sopra e che però non approdano a nulla.  L’apparente “pittoricità”,  quindi,  non è una discriminante che di per sé può decretare il fallimento o la validità della fotografia.

Nondimeno si deve tenerne conto nel nostro approccio fotografico. Vediamo quindi di capire quando la pittoricità diventa veramente un problema.

Partiamo dalla fine, cioè chiediamoci qual’è lo scopo del nostro fare fotografia.  Se la risposta è tendere all’arte, qualche milione di persone – fra cui il sottoscritto – vi dirà che una fotografia è arte quando:

va oltre,
rende visibile l’invisibile,
apre porte a mondi e sensazioni che non possono descriversi,
percorre il crinale dell’ambiguità,
tocca corde nascoste dentro di noi,
sorprende,
suggerisce ma non spiega,
eccetera.

Sono espressioni in gran parte sovrapponibili.

Altri più avezzi all’arte contemporanea porranno l’accento su una concettualità molto marcata,  ma – pur nel rispetto di tutte le tendenze e opinioni – difficilmente riusciranno a smarcarsi completamente dalle definizioni di cui sopra.  Un’opera attuale,  che magari richiede una didascalia,  una lunga spiegazione e la conoscenza del fotografo,  rimane comunque ancorata ad una trasmissione autore-utente su canali profondi.

A questo punto,  forse avvertiamo che quella fotografia pittorica non è un capolavoro non perché assomiglia ad un quadro,  ma perché non va oltre la logica di una crosta di mercato rionale;  e questo vale anche per quella fotografia raffinata che ricorda nei tratti i migliori pittori moderni,  se la somiglianza rimane formale e sterile, non sfocia oltre.

Tutto ciò, da una parte ci rinfranca: non esistono soggetti o situazioni da evitare a priori in quanto “pittorici”: dipende da che filo stiamo seguendo e che taglio diamo al nostro lavoro.

Dall’altra,  ci rende difficile il compito:  non è disdegnando cigni e canneti al tramonto e dandoci ai muri scrostati o alle tolle arrugginite che ci mettiamo in salvo.  La pittoricità (in senso negativo) è inconsapevolmente sempre in agguato, e scimmiottare un mood informale più in voga non è diverso dall’imitare un paesaggio dell’ottocento.  Un ferro ritorto carino  può essere… carino  come la veduta di Portofino,  se segue la medesima logica.  E’ quando il ferro  ci mostra altro (e soprattutto:  oltre) che possiamo proclamare lo scampato pericolo e sentire odore di arte.  E’ molto difficile.

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E arriviamo al paradossale (ma mica tanto):  la foto-web del tramonto sdolcinato non varrà magari nulla dal punto di vista artistico,  ma potrebbe essere più sincera,  negli intenti e negli evidenti esiti,  di una foto di paesaggio raffinata,  edulcorata,  con tutti i crismi della contemporaneità,  che però sotto sotto si limita a cavalcare pedissequamente (e furbescamente) l’onda vincente.

L’autenticità,  come sempre,  rimane la conditio sine qua non di un’opera di valore.

E dopo queste considerazioni personali,  veniamo al link di oggi:

Claudio Marra -fotografia e pittura nel 900 (e oltre)

Ogni tanto mi leggete definire qualche libro fondamentale… questo è di più:  è una pietra angolare.

E’ veramente coinvolgente,  e apre uno strappo nel velo che avvolge il mistero della fotografia.  Il titolo potrebbe indurre a pensare ad un noioso racconto di artisti pittori e fotografi,  ma non è così: Marra come suo solito ha al capacità di andare al nocciolo,  in un susseguirsi di fatti e idee che da una parte sciolgono tanti dubbi,  dall’altra aprono questioni insolute.  Mai come altrove questo ordinato ragionamento, senza riguardo per nessun “maestro”,  si risolve in un aumento di consapevolezza da parte del lettore:  e se il lettore è fotografo,  il libro è… indispensabile.

Buona lettura.

Giuseppe Pagano

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